Skip to main content

di Emilia Guarino

con Federica Aloisio, Futura Bacheca, Bruna Di Figlia, Ludovica Messina

Musiche di Angelo Sicurella

Luci di Gabriele Gugliara

Produzione Diaria con Babel e Piccolo Teatro Patafisico con il sostegno di Spazio Franco

Per fare un prato occorrono un trifoglio ed un’ape,

Un trifoglio ed un’ape

E il sogno.

Il sogno può bastare

Se le api sono poche.

(Emily Dickinson, 1755)

Se le api sono poche è un lavoro sulla creatività, quel tipo speciale di creatività propria del gioco, quel luogo sospeso in cui la realtà continua ad esistere e ad essere trascesa: quello spazio terzo in cui tutto può accadere, spazio potenziale, impegno esistenziale che inventa il mondo.

La scintilla di questo lavoro è la relazione tra adulte e bambine, le bambine che siamo state, le adulte che saranno. Questo dialogo è mediato da vecchie coperte di lana all’uncinetto, cucite in casa da una zia e dalla nonna di Emilia Guarino.

Le coperte sono forme e colori,  elementi spaziali zoomorfi, forme geometriche, campiture colorate. La scena è uno spazio in cui si giocano forze e direzioni orizzontali, diagonali e verticali tra forme, che si attraggono e si respingono in un equilibrio dinamico fondato su contrasti volumetrici e ritmici che si risolvono in un’unità data dai corpi vivi.

Le coperte sono inesauribile fonte di opportunità: sono tana, ali, tappeti, proteggono, nascondono. La lana è un materiale antico, pesante, ruvido, le coperte sono presenze delle case delle nonne, cucite dalle loro mani.

I corpi che animano le coperte, vengono s-coperti a poco a poco per tornare alla sembianza umana.

Basta una coperta se non abbiamo giocattoli. Basta il sogno, se le api sono poche. Le api, sono oggi il simbolo della resistenza al mondo capitalista, che mette prima la legge del denaro all’ecologia, alla giustizia e alla vita.

Bambine e adulte risignificano la loro creatività a partire dalla relazione: si rispecchiano le une nelle altre trovando similitudini ma anche differenze, si alleano.

La scrittura coreografica di questo lavoro non è calligrafica, sfugge la ripetizione uguale a se stessa, senza per questo essere imprecisa, per rinnovare il sentire dell’organismo vivo e sensibile che danza nel qui ed ora dell’esperienza, stando a contatto con il proprio vissuto fisico ed emotivo.

La danza delle bambine e il loro modo di stare sulla scena non è così diverso dal modo di stare nella vita, ed esprime un ritmo e una qualità di movimento originaria, anche se mescolata con gli apprendimenti spontaneamente incorporati dello studio della danza.

La sfida è lasciare che l’impulso profondo che muove ciascuna non sia annegato nella forma chiusa e ripetitiva dell’abitudine, che l’educazione e le prove non siano uno sradicamento, ma un fertilizzante. In questo spettacolo i quattro corpi, piccoli e grandi, creano uno spazio vivo, aprono la scena alla vita, sono presenza e organismo che respira ogni volta.